CRUDITÉS #1
Instagram è droga digitale - Marracash sul Titanic - Navigli are burning - L'AI, Walter Benjamin e Studio Ghibli
Instagram è droga digitale.
Mi sono sempre tenuto a debita distanza da Instagram per due motivi fondamentali:
a. lo scrolling infinito, ipnotico e allucinato, è forse l’atto più distruttivo di questa generazione.
b. le storie: quale può essere il valore di contenuti destinati a sparire in 24 ore?
La povertà di questi contributi usa e getta è bieco intrattenimento. Risuona nel ritornello di Smells Like Teen Spirit:
"Here we are now, entertain us."
Per pochi secondi. Senza impegno.
È riempimento del vuoto. Metadone per la noia, che genera dipendenza.
Restarne fuori mi ha permesso di osservare la realtà senza filtri e storture,
poiché Instagram è ormai un prolungamento alterato della realtà stessa.
La magnifica e contribuisce a plasmare l’idea che ci facciamo delle persone.
Come le foto sulle confezioni delle merendine: dal vivo c’è sempre molta meno crema.
Un sistema in cui sei perennemente al centro e tutto il resto ti ruota intorno può essere solo due cose:
uno zoo o Banca Mediolanum.
Come nel primo, la rappresentazione della realtà è verosimile ma non veritiera, con il filtro dell’intrattenimento.
I profili sono gabbie, il tempo è scandito da una relazione continua di osservazione e rappresentazione.
Corpi sottoposti a uno sguardo distratto ma perpetuo.
Sono convinto che il vero motore dei social sia sempre lo stesso:
capire se la vita degli altri sia più o meno appagante della propria.
Relazioni, ricchezza, emozioni, esperienze, fisicità, successi.
Ecco perché i contenuti privi di ambiguità, tensione emotiva, celebrazione o sensualità latente risultano poco attraenti.
Non raccontano niente che generi desiderio o repulsione.
Dare in pasto la propria realtà agli altri — osservandone anche le reazioni — è pornografia emotiva. Categoria cuckold.
Poi ovvio: est modus in rebus.
Una scrollata ogni tanto è un ottimo modo per tenersi in contatto, scoprire nuovi posti, informarsi.
Ma, come in cattività, la percezione del tempo si perde.
Stai dando a Instagram solo il tuo tempo libero, o è lui che se ne sta impadronendo?
Marracash sul Titanic.
In una lunga intervista con Francesco Oggiano, Marracash parla dei social, del vuoto culturale, della rabbia e della depressione.
Uno dei pochi artisti in Italia con idee davvero interessanti.
È autentico, quindi credibile. Profondo, ma con il giusto grado di leggerezza.
Lo ascolto da quando ha iniziato, e sono contento che sia diventato la voce più eminente del rap italiano.
Ecco i cinque passaggi più brillanti:
1.
“Mi sembra di ballare sul Titanic.”
Anche io ho questa sensazione da un pezzo.
Non abbiamo più riferimenti, né visione. Viviamo alla giornata.
Il vuoto culturale è enorme.
I dazi di Trump fanno ondeggiare ancora di più la nave.
La nausea sale sempre più spesso.
2.
“I modelli di maschilismo tossico sono tossici anche per i maschi,
perché poi sono incapaci di parlare tra loro, confrontarsi come fanno le donne, di parlare delle cose che gli capitano, perché c'è questa facciata dura che l’uomo deve sempre mantenere.”
3.
L’ultimo grande scandalo che ha indignato le masse è stato il caso Chiara Ferragni.
Il livello di indignazione è rappresentativo delle priorità della società.
Inoltre, altri personaggi hanno fatto schifezze peggiori, ma lei ha pagato di più.
Forse anche in quanto donna. Sicuramente perché sovraesposta. E perché non si è difesa bene.
Ma soprattutto per la storia d’amore.
“Vendere ai ragazzi un concetto d’amore che non esiste — o che è molto più sfaccettato, complesso, difficile — è criminale.”
Chi è più vulnerabile ci casca.
E questo genera pretese irrealistiche, che diventano frustrazione, inadeguatezza cronica, malessere.
4.
“Rubavo perché pensavo che la mia rabbia fosse legittima.”
Non essendo ricco, né laureato, la società aveva già deciso per lui:
un lavoro monotono da schiavo, pur avendo talento.
E molti ragazzi rabbiosi oggi pensano la stessa cosa.
“Quando il mondo è una vetrina in cui non puoi entrare, è normale volerla rompere.”
Se al centro del nostro modello sociale ci sono l’outfit, il club esclusivo, il privilegio visibile, non possiamo sorprenderci se chi è escluso scende in strada a prenderselo.
Magari rapinando.
È un mostro che creiamo da soli.
5.
Io non ho un amico che stia davvero bene.
Depressione, ansia, insonnia, malessere diffuso — in ogni fascia d’età.
C’è più depressione perché ne parliamo di più?
O perché c’è davvero più infelicità?
“Quando ne parlo con i miei genitori, che pure hanno affrontato mille difficoltà,
vedo che non riescono proprio a capire di cosa cazzo stia parlando.
Forse è anche generazionale.”
Sicuramente è un problema più riconoscibile.
“Questa è una generazione che balla intorno a un fuoco spento.
C’è una rinuncia alla lotta. Si è spento il fuoco della passione.”
Navigli are burning.
L’ultima cosa che mi ha colpito dell’intervista è lo statement sulla mediocrità della creatività pubblicitaria.
Marracash definisce quella per la promozione del suo disco circense, pagliaccesca.
All’ennesima proposta assurda — incendiare il Naviglio — ha detto basta.
Ha fatto uscire l’album senza promozione.
Ha ragione.
La creatività pubblicitaria è stanca. Spesso impersonale.
Paradossale, considerando quanto i brand sanno oggi dei consumatori e quanto potrebbero essere rilevanti.
Forse la sovrabbondanza di dati ha reso la comunicazione più piatta, più didascalica
più “dritta al punto”, forte di far leva sempre sul target giusto, ma anche meno coraggiosa, meno brillante, meno sorprendente.
Eppure, l’immagine dei Navigli che prendono fuoco io la conserverei. Almeno per danzarci intorno.
Navigli are burning è il titolo di una playlist che ho creato.
È un po’contorta, con sonorità, mood e spigoli in apparente contrasto tra loro. Però accende.
Perfetta per una corsa al tramonto, quando sembra bruciare tutto.
L’immagine di copertina è stata creata — ovviamente — con Chat GPT.
L’AI, Walter Benjamin e Studio Ghibli.
Ogni volta che in questi giorni vedo immagini AI-generated, penso a Walter Benjamin.
Nel saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” spiegava come la tecnologia sottragga all’opera la sua aura, ossia la sua esistenza unica e irripetibile in un luogo e tempo.
La possibilità di riprodurre un’opera ha modificato lo statuto stesso dell’opera d’arte, togliendole autenticità. Si pensi alla Gioconda dal vivo e alla Gioconda stampata su una tazza o vista su Instagram.
Il rapporto tra spettatore e opera cambia: non è più contemplazione, ma consumo. L’opera non si esperisce, si scorre.
Una definizione micidiale in un mondo in cui scrolliamo contenuti ininterrottamente.
Con l’AI si è andati oltre: le masse hanno la possibilità e la pretesa di essere esse stesse creatrici. Ovviamente è illusorio: è un’unicità posticcia, replicabile all’infinito, in una matrice preconfezionata.
Forse è proprio per questo che le foto stile Studio Ghibli hanno rotto le palle.
come direbbe Nicola Ventola: chapeau